Psicoterapia il simbolo dell’albero, quale uso possiamo farne.
Questo è un viaggio tra gli alberi. Non è un articolo da autobus, non puoi leggerlo di corsa. Ci vuole un po’ di tempo in più, ma qui troverai un excursus molto completo sulla simbologia relativa all’albero, sul suo significato nei sogni e sul suo essere simbolo per eccellenza del percorso individuativo. Il carattere autobiografico dell’articolo non ne pregiudica il valore tecnico.
SI tratta infatti di un articolo scientifico già uscito sulla rivista scientifica “L’Anima fa arte” n. 6.
Il simbolo dell’albero fa capolino nella mia esperienza il 22 Ottobre del 2012. Mi trovavo a Parigi, per mia fortuna. Un viaggio che è stato molto importante perché, con una certa prepotenza, sembrava ripercorrere una serie di immagini che mi erano venute in sogno e che stavo elaborando in analisi. Un viaggio breve all’insegna dell’arte e del nutrire la mia relazione di coppia con la mia proiezione di Anima.
La Domenica pomeriggio, mentre le mie gambe iniziavano ad ululare ad una luna che si levava tardi e altrettanto tardi si ritirava, mi sono imbattuto quasi per caso in Rue Descartes nel quartiere latino. Una via che, invece di innalzare un inno alla ragione, mostra come biglietto da visita un albero blu su di una parete del primo palazzo. Quasi con leggerezza ho snobbato la pur bella opera ma la mia dolce metà mi ha ricordato che le avevo chiesto di indicarmi alberi di qualsiasi tipo per la mia relazione. Pierre Alewchinsky l’autore dell’opera, mentre Yves Bonnefoy è l’autore della poesia riportata accanto all’opera (Vedi foto).
Passante
questo grande albero
e attraverso lui-
guardare
Fosse anche rovinato, insudiciato
l’albero delle strade
è tutta la natura
il cielo per intero
l’uccello vi si posa
il vento vi si agita, il sole
la stessa speranza
vi racconta
malgrado la morte
Filosofo,
tu hai fortuna di avere l’albero
nella tua via
saranno meno ardui i tuoi pensieri
più liberi i tuoi occhi
più desiderose di meno notte
le tue mani
Imbastire un elaborato sul simbolo dell’albero mi sembrava interessante, solo sfogliando i primi dizionari sui simboli mi sono però reso conto che è un’impresa. Sarebbe necessario lavorare su un testo solo per questo.
Ma il motivo che mi ha spinto a lavorare in questa direzione nasce dal fatto che tale simbolo si è presentato alla mia attenzione senza che io ne andassi alla ricerca. Non sono quindi mosso da pretese di esaustività quanto da un istinto autobiografico. Scorrerò quindi, come negli ultimi due anni dove e in quale occasione mi sono trovato a che fare con questo simbolo così denso.
Un paio di anni fa mi trovavo a Toffia, in provincia di Rieti, e guardai uno spettacolo teatrale di Lara Patrizio: Il Canto Dell’albero, tratto dall’opera di Jean Giono, “L’uomo che piantava gli alberi”. Seguivo a tratti quel monologo decantato e declamante che narrava di un uomo che, in viaggio, si trova in una valle desolata e arida con un villaggio abbandonato. Scorge di lontano un pastore con cui si avvia un silenzioso dialogo. Le parole non sembrano essere le protagoniste di questa relazione e il viaggiatore si appresta a passare la notte col pastore come se fosse l’unica cosa che potesse accadere. Il Pastore passa la sera a selezionare attentamente 100 ghiande e il mattino seguente escono insieme per piantare quelle querce futuribili. Il breve racconto prosegue e vede il viaggiatore partire e tornare nei successivi 40 anni con regolarità in quel luogo vedendolo trasformarsi e diventare rigoglioso, ricco di acque e di abitanti, il tutto grazie a un solo uomo che, perse moglie e figlia, dedica la vita a piantare alberi fino a piantarne 100000. Pur essendo un elogio all’altruismo e all’azione disinteressata, ho avuto un immediato rimando a Hillman che parla di Ghianda e Quercia come il naturale percorso da seguire nel processo di individuazione. Ne “Il codice dell’anima”, con il quale mi sono imbattuto nel marzo del 2010 e poi quest’ anno, Hillman mirabilmente ci suggerisce come l’anima in ogni momento realizzi se stessa, negli eventi buoni e cattivi, questa è la fede psicologica di cui spesso parla. Un testo molto consolatorio. Quale metafora migliore se non quella di un uomo che pianta ghiande sapendo che la maggior parte non crescerà, ma alla metodica ricerca di se o del Sé.
L’albero costituisce un axis mundi, ossia un immagine di collegamento tra cielo e terra, tra materia e spirito tra conscio e inconscio questo è il significato universalmente riconosciuto all’albero dallo junghismo fino allo sciamanismo. Ma prima di comprenderne l’utilizzo che ne possiamo fare in terapia proseguiamo le nostre amplificazioni.
Filosofo,
tu hai fortuna di avere l’albero
nella tua via
saranno meno ardui i tuoi pensieri
più liberi i tuoi occhi
più desiderose di meno notte
le tue mani
Questo il finale della poesia. Allora il racconto di Giono potrebbe essere proprio un richiamo al filosofo che ha l’albero nella sua via a render meno ardui pensieri e più liberi gli occhi, ma soprattutto a rendere le mani desiderose di meno notte. Non possiamo dimenticare che nei testi sacri al cristianesimo l’albero spesso è simbolo di saggezza, in tal senso risulta un buon compagno per il filosofo. DA qui ci viene una prima riflessione relativamente alla psicoterapia il cui primo obiettivo è, forse, proprio quello di promuovere l’avvento dell’immagine dell’albero, ossia della via che il percorso di individuazione dovrà seguire.
L’Albero costituisce da sempre un immagine multiforme ma che immancabilmente rimanda alla vita in senso esistenziale, si pone come simbolo su cui “naturalmente” si proietta la propria identità e in tal senso nasce il Baumtest o test dell’albero. Questo test, pur nascendo in ambito teorico distante da quello in cui ci muoviamo, risulta in assoluta continuità con quanto andiamo affermando. Ho iniziato ad impiegarlo nella Comunità per tossicodipendenti nella quale lavoro, per ottenere un dato proiettivo efficiente. Partendo infatti dal simbolismo sull’albero, questo test stabilisce criteri di valutazione assimilabili alla psicologia analitica, alla tradizione gnostica e a tutti quegli ambiti che partono dal simbolismo della croce come sospensione o meglio punto di incontro tra gli opposti, come punto di convergenza e di tolleranza di paradossi, come rappresentazione della coniuctio con tutte le diverse parti psichiche.
Il Baumtest concepisce gli assi alto-basso e sinistra destra come assi cielo-terra, tu- io, passato e avvenire. Alto diviene Estroversione, espressione, conscietà e telos mentre basso diventa introversione, istinto, Inconscio e origine-causa. L’albero racchiude in se, quindi, immaginari contrapposti e l’incrocio delle variabili citate, insieme agli elementi accessori conduce ad una diagnosi o, per dirla in un linguaggio a noi meno antipatico, una descrizione di tratti di personalità.
Così il suolo costituisce il contesto o il mondo circostante, le radici rappresentano il tipo di legame con le origini, con gli istinti. La chioma e il fogliame sono la maschera e l’albero sfrondato è nudo come chi lo ha disegnato. La frattura, la discontinuità tra fusto e chioma costituisce un sintomo di scissione, direbbe la psichiatria, o sintomo di una frattura nella comunicazione tra ciò che è supero e ciò che è infero. Qui di seguito un immagine che raccoglie alcuni alberi disegnati in età prescolare, intorno ai tre anni, potremmo dire archetipici.
Suggestiva a mio parere rimane la relazione tra conscio e inconscio, alto e basso, radici e chioma. Ritengo che nei disegni qui sopra presentati non ci troviamo di fronte all’assenza di inconscio quanto all’assenza del conscio. I bambini disegnano chioma e radici in modo intercambiabile. Bachelard ha definito la radice come l’albero rovesciato, l’albero sotterraneo e viene citato in tal senso dall’autore stesso del Baumtest.
Io invece ricordo un viaggio di ritorno a Rieti da Pescara. Una gita domenicale con moglie e figli, passando per Navelli giungere fino al mare e poi tornare inseguendo il sole e prolungando il tramonto più che si potesse. Durante il ritorno i bambini si erano addormentati e io parlavo con la donna sulla quale ho proiettato la mia femminilità, anche se ritengo che lei la moltiplichi in più eco. Una di quelle chiacchierate semplici senza alcuna competizione, ove ognuno ha il permesso di essere ciò che è. Parlai della leggenda del Baobab.
Secondo questa leggenda il baobab, che è poi albero dalle mille virtù, per vanità acquisisce da Dio tutte le qualità degli altri alberi. Il baobab è stato uno dei primi alberi a comparire sulla terra. Dopo di lui la palma, snella e graziosa. Quando il baobab vide la palma, gridò di voler essere più alto. Quando poi conobbe il bell’albero della fiamma il baobab fu invidioso del suo meraviglioso fiore rosso. Quando scorse l’albero di fico colmo di frutta, ha pregato per avere anch’esso dei frutti dolci. A tal punto gli dei si arrabbiarono per le richieste eccessive del baobab, lo sradicarono e per mantenerlo calmo lo ripiantarono al contrario.
Secondo un’altra leggenda parecchio tempo fa, un gruppo di gnomi scontrosi decise di vendicarsi degli uomini, colpevoli di disturbare la loro quiete con musiche e litigi assordanti. In una notte buia si intrufolarono furtivamente nei villaggi e sradicarono tutte le piante che si trovavano nei paraggi. Non le gettarono nel fiume, ma le capovolsero a testa ingiù, dando vita ai baobab.
Non sono nella posizione di incrociare tali leggende con le culture indigene delle savane africane, mi sento però a mio agio nel cercare di darne una lettura archetipica e in ottica analitica. Gli dei, infatti, puniscono colui che troppo sull’apparenza vuole costruire le sue virtù facendolo entrare in contatto con il mondo infero, con la parte inconscia, meno mascherata, meno personaggio. Le radici divengono la pérsona, l’inconscio diviene visibile a tutti e impossibile diventa mercanteggiare la propria identità perché data, visibile ininterpretabile. Nella medesima direzione si muove il processo di detronizzazione dell’Io che da Jung a Hillman giunge a noi attraverso Perilli.
Se questa operazione avvenga per mano degli dei o di piccoli gnomi ciò è per noi di minor rilevanza anche se, cercando nessi laddove non vi sono, pensare che vi è un “piccolo popolo” che obbliga a fare i conti con la dimensione istintuale, primitiva o inconscia resta per noi di notevole suggestione.
Effettivamente ogni albero mostra con la parte visibile, una volta sfrondata, la sua parte infera, sotterranea. Ho giocato a lungo nell’inverno del 2010 a pensare gli alberi spogli come tutti rivolti con le radici all’insù, a pensare a una chioma-maschera sotterrata. Ho pensato a come le stagioni dell’esistenza obbligano, volenti o nolenti, a mostrare di quando in quando la parte più autentica e globale di noi, quella parte erroneamente ritenuta la meno nobile, quella parte che ragionevolmente richiede una mediazione di un Io, qualora esso esista, una mediazione in assenza della quale la nostra cultura trova solo nella diagnosi una strategia relazionale efficace.
I testi vedici parlano poi di un albero rovesciato da intendersi come prolungamento della terra che acquisisce nutrimento dal sole attraverso le foglie, poi giù fino alle radici. L’albero è la bocca della terra che assimila nutrimento. La vita viene dal cielo e penetra nella terra. Anche la cabala concepisce l’Albero della Vita come albero rovesciato.
Ma ora riduciamo all’osso l’albero e pensiamo alla croce. In croce si trova Conan il Barbaro, nel noto film, quando viene condannato. L’archetipo del puer, che Conan rappresenta, vive come condanna ciò che è fortuna per il filosofo. Conan sospeso in croce non può realizzare l’archetipo del puer. La sospensione sulla croce rimanda al Cristo che si è fatto uomo affinché l’uomo potesse farsi Cristo, direbbero i cristiani. L’angoscia è superabile attraverso la funzione religiosa: attraverso la creazione del Dio che poi a sua volta crea e genera il suo genitore e quindi si fa uomo e va sulla croce. L’uomo può pregare se stesso di fronte all’angoscia.
Insomma è l’uomo stesso a farsi uomo e poi trova nell’autosacrificio e nella croce il suo destino.
Ma usciamo dai deliri, la sospensione sulla croce costituisce l’indicazione per il filosofo che si riduce al vecchio e caro in medio stat virtus. Nel mezzo del cammin di sua vita Conan ha quindi un’indicazione, ma poi, posseduto dall’archetipo, non può fare altro che essere se stesso.
Pacino Buonaguida:Albero della vita ( 1305 ca)
Sulla stessa direzione della croce invita a porsi l’oracolo cinese “I Ching”. Quando si consulta questo oracolo, caro anche a Jung come noto, si ottiene l’associazione di due trigrammi o in modo più semplice un’insieme di sei linee o continue o spezzate. Rimandando al testo per eventuali approfondimenti, qui ci limitiamo a dire che l’oracolo invita ad una sospensione tra 4 coppie di opposti:
Se poi Jung, in perfetto stile hillmaniano, abbia cercato di proporre una trama occidentale all’oracolo orientale non lo sappiamo. Ma ci sembra alquanto probabile che abbia subìto l’influenza di questo albero per proporre i suoi alberi ne “I tipi Psicologici”. Così troviamo due assi su cui si trovano contrapposti e in enantiodromia Intuizione- Sensazione e Pensiero-Sentimento. Ricordando che poi il tutto va declinato sui tratti di Estroversione e Introversione otteniamo proprio 4 coppie di opposti come nell’oracolo cinese, la cui grafica rimanda a quella essenziale usata da Jung nel suo testo.
Fantasticando immagino i diversi simboli politici che rimandano alla croce e quindi all’albero, penso a come trattasi di tentativi ripetuti di trasformare gli assi secondo teorie di riferimento che spesso sfuggono alla naturalità delle cose. Una svastica sembra infatti il tentativo di rendere finiti gli assi, di interromperli dando un limite, di rendere finito l’infinito e quindi di dominarlo. Quasi a far si che le diverse funzioni psichiche o risorse psichiche (due per ogni asse), fossero più tangibili, acquisibili, gestibili. Nella stessa direzione va la volontà di creare un meccanismo di selezione della specie piuttosto che far parte del meccanismo.
I dizionari dei simboli riportano comunque prima di tutto l’idea di un albero che si pone come asse di congiunzione tra cielo e terra, tra ctonio e uranio. Come sintesi di elementi. Questa sintesi potrebbe anche rappresentare la gnosi e in tale direzione si muove la tradizione ismaelita. L’albero della gnosi rimanda poi a quello della scienza del bene e del male, quello da cui, si vocifera, sia stata costruita la croce di cristo, per l’appunto anch’essa assimilata all’albero della vita. Sull’albero della vita sembrano convergere poi le tradizioni d’oriente e d’occidente. Notiamo infatti come il Buddha ebbe l’illuminazione sotto l’albero cosmico, mentre per i cinesi l’albero legato è simbolo di unione del bene e del male, dello yin e dello yiang. In generale molte tradizioni preelleniche o precedenti, oppure quelle nordiche vivono il culto dell’albero come fondante. La religione Norrena parla chiaramente dell’Albero cosmico conosciuto come Il frassino Yggdrasill o Frassino di Odino, su cui vivono e vengono generati gli dei. Sembra che prima di Dio erano gli Dei ma prima degli Dei era l’Albero. L’albero è il luogo che ha preceduto nella cosmogonia i mortali e gli immortali, l’albero è la nostra casa prima che noi nascessimo. Eliade osserva che l’albero oltre ad essere simbolo della perpetua rigenerazione è anche simbolo archetipale della potenza che finisce per coprire l’intero cosmo.
L’albero può poi essere l’antenato, il padre, o trasformazione temporanea dell’uomo. Non possiamo dilungarci nelle specifiche di ogni albero e di ogni tradizione culturale, ma cerchiamo di restituire, seppur in modo vagamente grottesco, gli alberi nella storia, nel tempo e nelle culture.
Prima di passare ai contributi di Jung e dell’alchimia sul simbolo dell’albero, vorrei provare a fare un passaggio a volo di gabbiano sull’Albero della Vita secondo la Cabala. Il motivo per cui mi cimento in un compito così arduo non risiede nelle mie conoscenze quanto nelle mie esperienze di sincronicità.
Da tempo sarei infatti potuto andare ad Otranto nella mia vita, ma lo ho fatto solo questa estate dopo aver deciso di procedere in questa relazione. Ebbene è lì che nel duomo ho trovato una decorazione musiva che mi ha rapito. Un mosaico pavimentale che ricopre l’intera estensione della cattedrale e in cui si trova una tale commistione tra pagano e cristiano, tra sacro e profano che induce ad un’ubriacatura chi, come noi, ha scelto di leggere il mondo in senso immaginale. Pantaleone l’autore la realizza in due anni tra il 1163 e il 1165, è uno gnostico e ci sembra importante evidenziare che oltre ai consueti temi dell’antico testamento, ve ne sono alcuni totalmente fuori contesto. Uno di questi è Re Artù sotto Adamo ed Eva; un altro è il leone quadricefalo; un altro è Alessandro Magno.
La prima lettura e interpretazione possibile è quella cabalistica. L’Albero della Vita è il programma secondo il quale si è svolta la creazione dei mondi; è il cammino di discesa lungo la quale le anime e le creature hanno raggiunto la loro forma attuale. Esso è anche il sentiero di risalita, attraverso cui l’intero creato può ritornare al traguardo cui tutto anela. Lungo di esso sale e scende anche la consapevolezza degli esseri umani. I tre pilastri dell’Albero della Vita corrispondono alle tre vie che ogni essere umano ha davanti: l’Amore (destra), la Forza (sinistra), e la Compassione (centro). Solo la via mediana, chiamata anche “via regale”, ha in sé la capacità di unificare gli opposti. Senza il pilastro centrale, l’Albero della Vita diventa quello della conoscenza del bene e del male. I pilastri a destra e a sinistra rappresentano inoltre le due polarità basilari di tutta la realtà: il maschile a destra e il femminile a sinistra, dai quali sgorgano tutte le altre coppie d’opposti presenti nella creazione.
L’insegnamento principale contenuto nella dottrina cabalistica dell’Albero della Vita è quello dell’integrazione delle componenti maschile e femminile, da effettuarsi sia all’interno della consapevolezza umana che nelle relazioni di coppia. La cabala sintetizza il percorso sapienziale che l’uomo deve compiere per giungere a Dio. L’albero ne è quindi lo schema. La contrapposizione tra le colonne laterali dell’albero, ossia l’assenza di quello centrale (la Consapevolezza) crea la schiavitù con lo spazio-tempo (i 12 mesi raffigurati nel mosaico). Il percorso gnostico inoltre dovrebbe concludersi al di fuori della cattedrale dove campeggia di nuovo il nome di Pantaleone. In questo mosaico appaiono poi 16 cerchi che indicano la cosmogenesi. La sirena in uno di essi ricorda l’Abraxas che è per Basilide il sommo architetto dell’universo che però era maschio. In sintesi la cabala ci suggerisce ulteriori letture del simbolo dell’albero di cui l’opera musiva sembra presentarne ulteriori possibili interpretazioni per noi molto suggestive.
In conclusione di questa relazione mi soffermerei sul significato del simbolo dell’albero che Jung richiama in Studi sull’Alchimia. Parlando dello spirito mercurio Jung lo colloca, seguendo il racconto dei fratelli Grimm, in una bottiglia che è stata collocata tra le radici di una quercia, ossia il Re della foresta, il Sé. Senza soffermarci sullo spirito Mercurio, ci interessa qui sottolineare l’idea dell’albero come simbolo del Sé. Jung ricorda che albero e demone erano, in civiltà antiche, una sola cosa e che la loro separazione costituisce un grado superiore di civiltà, ossia la coscienza.
Il Mercurio è poi affine alla trinità, dice Jung, e questo ci potrebbe ricondurre all’albero della vita e alle tre vie, ma forse è opportuno usare cautela. Ma è nel capitolo successivo che Jung presenta 32 tavole con rappresentazioni grafiche dell’albero prodotte da pazienti. Inizia il capitolo argomentando come tali rappresentazioni grafiche risultino assimilabili ad un MANDALA. Mentre il mandala è una visione del Sé visto dall’alto, l’albero ne costituisce una visione prospettica. Potremmo dire che il mandala è un’istantanea mentre l’albero un film sul Sé, sul processo in termini di processualità.
Non staremo qui a entrare specificamente nelle tavole ma invitiamo a scorrerle per osservare come l’archetipo si presenta nel simbolo con diverse varianti ma con un comune denominatore. Sembra quasi di osservare lo studio di uno stesso soggetto ad opera di un solo artista.
Jung prosegue parlando dei correlati alchemici del simbolo, di come in alchimia rappresenti il processo di trasformazione, nonché la totalità, il Sé, l’unità della quaternità, tra i 4 opposti (qui Jung rimanda direttamente alla Croce). Il saggio prosegue facendo cenno all’albero alchemico come albero filosofico che per analogia con vasi sanguigni costituisce il processo sapienziale che si dispiega ciclicamente con le stagioni e non una volta per tutte. Mi meraviglio nel leggere per ultimo questo capitolo e osservare come necessariamente Jung passi in rassegna molti dei significati da me incontrati nel fare la mia relazione. Mi meraviglio come giungo alla fine della relazione citando l’albero filosofico e mi ritrovo circolarmente al punto di inizio, alla poesia di Bonnefoy e mi chiedo: Ma Bonnefoy avrà mai saputo di alchimia? Avrà mai letto Jung?
Chiudo in modo autobiografico e cito ricordi o sogni che si impongono nel mio archivio mnestico in merito all’albero. Da ragazzo fino a 10 anni ho vissuto con i miei nonni. Ero l’addetto ad addobbare l’albero di natale e lo feci con dedizione, stimolato anche dalle mance generose. Poi mia nonna un anno decise di addobbarlo con foto, spazzolini, bustine da the, pupazzi e qualsiasi altra cosa capitasse tra le mani. Tutt’oggi io addobbo l’albero di natale con lo stesso spirito. Con mio fratello, persona simpatica a tutti, ricordo che costruivamo una casa su di un ippocastano. Poi una volta nostra madre ci chiese di potarlo e noi lo abbiamo fatto ma un ramo troppo grande è caduto sulla scala facendo cadere mio fratello e distruggendo la scala. Mia suocera ci regalò un limone quando andammo a vivere insieme con la mia compagna. Ho sempre cercato di curarlo ma inesorabilmente periva, soffriva e infine lo trovai coricato sul terrazzo abbattuto dal vento. Cambiai casa e tagliai tutti i rami. Avrei dovuto buttarlo e invece lo portai con me. Questo avveniva 4 anni fa. Oggi il Limone è pieno di foglie e ha molti frutti sui suoi rami.
Quindi cosa ce ne facciamo degli alberi? Da psicoterapeuti quale utilità o uso possiamo fare dell’albero qualora esso giunga in analisi. L’albero, come qualsiasi altro simbolo, può giungere nella stanza d’analisi con un sogno, con un ricordo, con un evento recente, ma noi che ce ne facciamo di tutte le amplificazioni sull’albero per evitare il rischio di speculare gratuitamente ed essere tacciati di junghismo?
L’albero e le amplificazioni che un paziente ne fa, ci saranno utili a comprendere il funzionamento del nostro paziente o di noi stessi. L’albero, nella sua forma e nel suo contesto, ci informerà di come sia il rapporto con la dimensione inconscia di chi porta dentro di se un certa immagine dell’albero. L’albero ci dirà in quale misura possiamo lavorare sul rendere conscio ciò che non lo è, su come entrare in contatto con l’ombra. Ci informerà poi sull’inflazione di spirito, qualora sia la chioma la parte prevalente, ovvero su un’inflazione di corpo e istinto qualora siano le parti delle radici a risultare preponderanti. Da archetipici lavoreremo su una riduzione dell’inflazione e una esaltazione degli aspetti deflazionati. La chioma è anche la maschera, la persona e un eccesso di chioma ci spingerà a promuovere la nudità, e qui ci riferiamo anche al senso alchemico della nudità, ma al contempo dovremo valutare come rivestire un albero troppo spoglio dato che la persona, la mschera, è lo strumento con cui ci si relaziona col mondo. Un albero senza radici andrà radicato, mentre troppe radici andranno recise.
Ma in Psicoterapia il simbolo dell’albero ci darà anche una proiezione e una prognosi indicandoci il probabile andamento dell’analisi.
L’obiettivo della psicoterapia è divenire “ciò che sta nel mezzo”, direbbe Jung, e, in tal senso l’albero ci indicherà quale funzioni siano inflazionate e quali siano deflazione. Con funzioni ci riferiamo sia a quelle che Jung cita nei “Tipi psicologici” sia quelle emerse nei “I Ching”. Nell’Oracolo cinese vediamo contrapposti, ad esempio l’eccitante al mite, o il creativo al ricettivo. Nella stanza d’analisi favoriremo, quindi, un equilibrio tra la creatività, ossia i rendersi generatori del mondo, la ricettività ossia essere generati dal mondo, il che poi si traduce in un equilibrio tra estroversione e introversione. Il simbolo dell’albero si presenterà in analisi molto asimmetrico e dovremmo lavorare nella direzione di favorire la simmetria fino a trasformare l’albero in un vero e proprio mandala, in un cerchio. L’albero ci indicherà il Kairos, il giusto momento in cui rendere conscio ciò che è inconscio. Ci indicherà il giusto momento in cui favorire l’istinto ovvero lo spirito. L’albero ci indicherà quando contrapporsi a un eccesso di psiche e quando favorirne lo sviluppo. L’albero ci indicherà come integrare gli opposti e il maschile col femminile; l’albero è la via verso l’ermafrodito.
Bibliografia
Bachelard, G. 1943 :Psicoanalisi dell’Aria. RED, Milano, 2007.
Giono, J, 1953 : L’uomo che Piantava gli alberi. Salani, Milano, 1996.
Eliade, M., 1974: Lo sciamanismo. Mediterranee, Roma, 2005.
Hillman, J., 1996: Il codice dell’anima. Adelphi, Milano, 1997.
Jung, C. G., 1921: Tipi Psicologici. Bollati Boringhieri, Torino, 1977.
Jung, C. G. , 1952: Studi sull’Alchimia: Lo spirito Mercurio (1943). in Opere, vol. 13, Boringhieri, Torino, 1970.
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Jung, C. G. , 1952: Studi sull’Alchimia: L’Albero Filosofico (1945). in Opere, vol. 13, Boringhieri, Torino, 1970.
Koch, K.1958: Il reattivo dell’Albero: Giunti, Firenze, 2007.
Perilli, V., Perilli, E., 2008: Oltre l’Io. Libreria Univ. Benedetti, L’Aquila.
Articolo Rivista Anima fa Arte