4 PAURE E 1/2 DEL TERAPEUTA: PSICOSI E FUNGHI PORCINI
“Questa storia del pericolo! Bah! Al diavolo! L’idea del pericolo comincia nella mente dell’analista… c’è tutta la serie di pericoli immaginati dagli analisti. Sono loro a spaventarsi, appartengono a loro le paure. Paura numero uno: la paura che un paziente si suicidi. O la paura di essere sedotti o di sedurre il paziente… Paura numero tre: La violenza… ah, si, la paura della psicosi ovviamente (E la paura che il paziente non paghi, non dimentichiamo neanche questa)” (Hillman in Il linguaggio della vita).
Prima di confessare ci serve una breve lectio che, per chi non ne avesse bisogno, resta una premessa necessaria per la confessione. Insomma, in molti già sanno che Freud e Jung sono stati molto vicini, molti sanno che questa vicinanza si è fatta sfida fallica, molti sanno che mentre Freud aveva lavorato più che altro con nevrotici, Jung dall’altra parte aveva prediletto gli psicotici.
Ma che significa nevrotico e psicotico? Io voglio banalizzare e lo voglio fare per i pazienti che si stizziscono se gli danno del nevrotico dimostrando di essere tali, mentre gli psicotici se si sentono dire di essere psicotici vanno dritti per la loro strada senza fare i conti con la realtà dei fatti. Ma cosa vuoi che sia una nevrosi? Al tempo di Freud era divenuta addirittura uno status symbol… un po’ come gli attacchi di panico oggi nelle nuove generazioni. Ormai siamo tutti presi come genitori nell’attesa di poter esclamare qualcosa del tipo “… ahh congratulazioni anche tuo figlio è divenuto signorino, ha avuto il suo primo attacco di panico”. Il dio Pan scandisce ormai il passaggio dalla pubertà all’adolescenza… ma torniamo a Freud.Partendo dal vecchio adagio alchemico secondo cui il veleno è nella dose, adagio attribuibile a quel vecchio winkleprediger di Paracelso, sia qui sufficiente dire che entrambe, nevrosi e psicosi, sono un eccesso, una “osi”. E mi viene la fantasia che “osare” sia parola che abbia la stessa radice “osi” e che rimandi dunque all’eccesso di audacia, ma certamente questa è etimologia da mercato rionale… colorata, rumorosa, saporita ma alla fine scompare lasciando un sacco di cartacce a terra. Insomma troppi nervi per la “Nevr-osi” e troppa psiche per la “Psic-osi”. Ma mentre quei nervi esagerati erano troppi perché tesi oltremodo a seguito dei multipli e reiterati castramenti dei desideri operati dal super-io su indicazioni dell’IO, la psicosi è la totale assenza di IO, di un direttore d’orchestra e, dunque, è un eccesso di psiche, di immagini e immaginazione.Ora vi confesso che, da bravo junghiano, la nevrosi mi annoia un po’ e, al tempo stesso, mi affascina. Sono tendenzialmente psicotico, immagino troppo e soffro di emozioni anche solo comparse come fantasie. Vi confesso che le notti in bianco rischio di passarle a litigare furiosamente con chicchessia mentre lui, chicchessia, placidamente dorme nel suo letto. Certe notti la tv e i libri ti salvano. Quindi per me la nevrosi è una conquista di serenità. Repressione ritmata di desideri che genera tensione nervosa ed emotiva, ma almeno le emozioni in gioco sono solo quelle che appartengono al piano del reale. Invece la psicosi… ahh la psicosi! Ma quanto è bella la psicosi? La fantasia fa capolino facendo la padrona a casa d’altri, il vigile all’angolo diventa un agente della CIA, la partita di calcetto diventa una donna formosa che a letto fa impazzire il fidanzato, il silenzio si colora di voci, e pulirsi le mani facendosi il segno della croce almeno 15 volte al minuto diventano riti con cui ottenere premi inaspettati. Insomma un nevrotico ti fa un quadro di fiori che vedi appeso nello studio del tuo dentista, uno psicotico ti fa dei girasoli e i riflessi arancio li ottiene col sangue che fiotta dall’orecchio mozzato. Ora mi sembra chiaro che nessun dentista sia mai passato alla storia se non come torturatore, mentre è pieno di psicotici che hanno fatto la storia.
Allora Jung non era fesso, semplicemente era un esteta e il suo Libro rosso ne è la prova, una psicosi in diretta… eppure, come scriveva Sigismondo non si batte.La verità è che la psicologia, come tutte le discipline scientifiche, se ne infischia della nevrosi, come i dentisti di una carie, perché è timida, banale, comune, ordinaria. Invece la psicosi. Ah lei si che da soddisfazione! Come per un oncologo una macchia scura nella TAC come non ne aveva mai viste prima, o come qualsiasi altra patologia rara e iperbolica. Questo, ve lo confesso, è il rischio della sanità, farsi cercatrice di funghi e quando vede un bel porcino succulento, ci si butta sopra. Ecco! Il rischio della psicoterapia è andare in cerca di porcini. Ogni psicologo in erba fa questo errore, più o meno pianificato, quello di entusiasmarsi di fronte alla follia. Tutti noi in questa fase viviamo con l’assetto di chi tutto accoglie e tutto può curare. Questo avviene per un delirio che la psicologia stessa alimenta, ossia quella convinzione, del tutto psicotica, che esista un gesto, una parola, una sillaba o semplicemente un colore della camicia che indossiamo, che possa far accadere tutto e il contrario di tutto. Si Gli psicologi sono psicotici un po’ come i delinquenti sono ottimi poliziotti e gli avvocati hanno una fortissima tolleranza dell’illegalità. Da psicologo la psicosi ti affascina la insegui come cercando uno specchio per guardare il foruncolo che hai sentito grattandoti la fronte. Allora, passando in rassegna tutta la filmografia in cui lo psichiatra o lo psicologo faceva breccia sul caso su cui nessuno trovava contatto, continui a cercarla illuso di curarla. Poi la incontri e lei, la psicosi, lì a fianco del paziente che sembra averti seguito quasi fin sotto casa, si mostra per quello che è… rocciosamente e violentemente tirannica e allora? E allora freni e impari a non avvicinarla a meno che non vi sia un invito ufficiale e, in quel caso, provi a suggerire il galateo, lo stesso che hai sviluppato quando lei bussava alla tua stessa porta con maggior gentilezza. L’incontro con la psiche ci insegna ad averne un profondo rispetto, ci insegna a chiedere permesso, ci insegna che siamo sempre ospiti in casa nostra, figuriamoci a casa degli altri. Ma rispetto non vuol dire paura. Ma soprattutto Hillman ci fa un’invito imponente, ci ricorda che le paure sono del terapeuta e non del paziente, ci ricorda che i porcini li troviamo perché siamo andati nel bosco a cercare, ci rammenta che quasi sempre se si ha fede terapeutica, quella psicosi non viene e non va da nessuna parte se ci parliamo con tranquillità. Per fare questo dobbiamo confessare le nostre. Dobbiamo concederci di ammettere di aver immaginato, di essere stati colti da immagini truculente o libidinosamente indecenti e indicibili. Ecco saper dire l’indicibile è la cura per la psicosi. Si perché le parole curano e le immagini nella loro autonomia non si presentano solo di notte durante il sonno, ma a volte anche in pieno giorno, magari sull’autobus e chiedono parola. Se gli diamo parola non faranno danno. Insomma la psiche è immagini, la serenità è di chi sa svuotarla con regolarità. Ma poi alla fine va detto, la psicosi è tale perché sfugge al coniugarsi col piano di realtà… allora fa paura a chi si trova su quel piano mentre per me, per noi psicoterapeuti, almeno per i più capaci, la paura non c’è perché in terapia reale è ciò che ci agisce, tutto quindi nella stanza d’analisi assume la dignità del vero. Ecco La terapia è nella verità, nel vero e lo ricongiunge col reale, ossia con quel territorio in cui l’immaginazione, l’allucinazione, il delirio, la paranoia sono banditi ma di cui, da sempre, ha un profondo bisogno.
Luca Urbano Blasetti
#Confessioni di uno #Psicoterapeuta