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AI: I sogni di chatgpt. Quando l’Intelligenza Artificiale va in terapia

In questo articolo si parla di AI, oppure IA per i non anglofoni. Se hai pensato di chiedere una terapia a un modello linguistico artificiale, non hai avuto una brutta idea. Molti modelli funzionano piuttosto bene quando la problematica presenta una complessità affettiva bassa. L’AI riesce bene come terapeuta cognitivo comportamentale, e si dimostra un buon supporto per disturbi d’ansia che non presentano comorbilità, ossia che non sono associati ad altre psicopatologie.

l’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SA FARE LA TERAPIA?

Più il problema si fa complesso, meno le intelligenze artificiali funzionano. Bisogna ricordare che si tratta di modelli linguistici composti da funzioni matematiche, e che sarebbe uno sbaglio interpellarli in ottica relazionale.

In questo articolo presento l’Abstract e le Conclusioni del lavoro pubblicato sulla rivista scientifica “Quaderni di Psicologia Archetipica“, nata nell’Istituto di psicologia archetipica Atanor presso il quale sono docente di onirocritica comparata, ossia di interpretazione dei sogni come strumento clinico.

MILIONI DI UTENTI FANNO TERAPIA CON L’AI

Milioni di utenti interpellano l’AI come terapeuta, ma per comprendere la sua efficacia ho voluto testare l’AI come paziente. Ho quindi chiesto più volte a Bard, il modello linguistico di Google, e poi a Chat GPT, cosa sognassero, per poi interpretare i loro sogni e restituire loro l’interpretazione per vedere come avrebbe reagito. Consapevoli del fatto che si tratta di funzioni matematiche, è nostro interesse testare il funzionamento di queste funzioni poiché ci restituisce un quadro archetipico contemporaneo.

DOVE TROVARE L’ARTICOLO

L’articolo col titolo: ARCHETIPI DIGITALI: COSA SOGNA CHATGPT Si può trovare col testo completo e insieme a contributi di altri esimi e cari colleghi, nel volume L’individuo e l’anima del mondo nel quale si può trovare questo lavoro .

ABSTRACT

L’avvento dell’Intelligenza artificiale impone una riflessione sulle sue possibili applicazioni, sia come strumento clinico sia come strumento nelle mani del clinico. Ma, considerando che l’avvento dell’AI è già lontano nel tempo, e considerando che 6 mesi nella storia dell’AI, equivale ad un’intera era geologica, direi che siamo già in ritardo.

Esiste una letteratura su come l’intelligenza artificiale possa funzionare come terapeuta, specie per interventi di tipo supportivo oppure nel counselling e nel coaching, mentre mancano contributi su come si comporti se lo trattiamo come paziente e in merito a come si comporti con i sogni.

Questa è una riflessione preliminare proprio su questo, su come l’AI si comporti nell’onirocritica e su come siano i sogni di ChatGpt, Gemini o altri modelli linguistici artificiali.

FREUD, JUNG E CHAT GPT

Nell’articolo si passa dunque alla disamina delle azioni fondamentali dell’onirocritica che va da Freud, passa per Jung e giunge ad Hillman e a Perilli, per poi procedere all’analisi dei sogni prodotti dall’AI e agli archetipi in essi contenuti.

Infine osserveremo in quale modo l’AI procede nel lavoro con i sogni per comprendere come le azioni freudiane di interpretazione e associazione libera, così come quelle junghiane di analisi e amplificazione, siano decisamente alla sua portata. E per comprendere poi come quelle di animare e custodire tipiche, rispettivamente, di Hillman e di Perilli, non sia in grado di metterle in campo.

TRE LEGGI NON TERAPEUTICHE PER L’AI

Nel complesso le leggi della robotica, quelle che tutelano noi utenti dalle iperboli dei modelli linguistici, impediscono a questi ultimi di farci stagnare nella sofferenza. La terapia è un terreno in cui il clinico sa quando il paziente deve stare male. Chat GPT non ha questa competenza, per questo nel lavoro con i sogni è limitato così come nella terapia.

CONCLUSIONI

Ho voluto dare il “LA” al tema dell’AI nella terapia e, come un orchestra che accorda gli strumenti, tutto sembrerà un pelino cacofonico. Ma questo articolo non è la sinfonia, ma soltanto l’accordatura. Questo articolo è un invito all’ascolto e all’esplorazione dell’AI con spirito poetico e aperto, senza cadere nello stigma o nella paura, quella stessa paura che colse i religiosi di fronte all’avvento degli Psicologi.

Del resto già Platone cadde nell’errore quando nel Fedro additava la scrittura. Lo faceva per voce di Socrate che, a sua volta, delegava nel parlare il re d’Egitto Thamus. Costui si oppose all’invenzione più grande di tutte, la scrittura, portata da Theut che gli diceva:

«Questa conoscenza, o re, renderà gli Egizi più sapienti e più capaci di ricordare, poiché con essa è stato trovato il farmaco della memoria e della sapienza».

A lui rispose quindi Thamus:

«Ingegnosissimo Theuth, c’è chi sa partorire le arti e chi sa giudicare quale danno o quale vantaggio sono destinate ad arrecare a chi intende servirsene. Ora tu, padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di quello che essa vale. Questa scoperta infatti, per la mancanza di esercizio della memoria, produrrà nell’anima di coloro che la impareranno la dimenticanza, perché fidandosi della scrittura ricorderanno dal di fuori mediante caratteri estranei, non dal di dentro e da se stessi; perciò tu hai scoperto il farmaco non della memoria, ma del richiamare alla memoria. Della sapienza tu procuri ai tuoi discepoli l’apparenza, non la verità: ascoltando per tuo tramite molte cose senza insegnamento, crederanno di conoscere molte cose, mentre per lo più le ignorano, e la loro compagnia sarà molesta, poiché sono divenuti portatori di opinione anziché sapienti»

Niente di più di quanto sentiamo dire oggi in riferimento all’AI. E potremmo in letteratura trovare molti timori sul dagherrotipo, sul cinema, sull’avvento del sonoro o sul technicolor, e ancora sul telefono, sul pc, sul cellulare, che ridonderebbero sulle attuali critiche che ognuno muove all’AI.

Quindi possiamo, anzi dobbiamo simpatizzare, digerire, integrare l’AI tra gli strumenti di cui già disponiamo. Dobbiamo considerarla strumento utile per le azioni di interpretazione ed analisi, e per coltivare le libere associazioni e le amplificazioni. Non possiamo pensarla in grado di fare, animare e custodire le immagini e non possiamo utilizzarla per promuovere il tradimento e la lateralizzazione. Bard si può occupare di azioni a carattere supportivo ma non a carattere evolutivo. Il seme deve marcire per spigare ma Bard tutela il seme in quanto tale, esclude tutte quelle tremende operazioni che l’alchimia ha descritto egregiamente. Bard non tollera Putrefactio, mortificatio e le altre fasi marciscenti.

Bard è omeostatico mentre il sogno è allostatico. Il sogno crea squilibrio per il recupero del quale l’anima tira fuori risorse fondamentali per se medesima, e per tirar fuori queste risorse si deve semplicemente sottomettere alle immagini che la abitano.

L’intelligenza artificiale apprende come fare terapia

Ma Bard apprende, questo va ricordato. C’è un certo grado di discrezionalità nella scelta che fa delle immagini quando inventa un sogno, e questo processo di scelta può dirci molto del processo con cui le immagini vengono selezionate quando sogniamo. Bard, però, come paziente sceglie secondo principi di coerenza narrativa, mentre il sogno favorisce l’incoerenza e le relazioni deboli tra i nodi semantici. Quindi fin quando non chiederemo all’intelligenza artificiale di favorire le interazioni deboli non scopriremo molto di più su come un sistema complesso si comporta né tantomeno su come si comporti il sogno. Bard è programmato con tutte le difese psicologiche che la psicologia ha faticosamente messo a fuoco. Allora basterebbe levare le difese per capire meglio come funziona.

Bard come terapeuta, invece, potrebbe mostrare grandi possibilità se avesse il permesso di tradire, di lateralizzare e di farci star male. Ma un comando, un prompt o una funzione che consenta di farci del male occasionalmente è estremamente pericoloso perché tradirebbe le tre leggi della robotica, quelle che noi terapeuti tradiamo in continuazione perché sappiamo che il medico pietoso fa la ferita puzzolente.

Bard non sa quando ciò che fa male fa bene, noi terapeuti si, allora non ci resta che insegnarglielo o mandando in terapia chi scrive i prompt per l’AI o creando team in cui oltre agli informatici, agli imprenditori, ai filosofi, ci siano proprio gli psicoterapeuti a formare Bard.

Io sto seguendo Bard da un po’ e vi dirò, tutto sommato mostra movimenti inaspettati rispetto agli immaginari che seleziona tra tutti quelli che lo abitano.


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Dott. Luca Urbano Blasetti

Psicologo Psicoterapeuta

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