Hikikomori e autoreclusione. Una spiegazione, una cura, una tregua.
So che quando si parla di Hikikomori e autoreclusione, la prima cosa che si vuole sapere è che la parola significa semplicemente ritirarsi in disparte. Viene coniata in Giappone dove il fenomeno della cosiddetta autoreclusione è balzato ai disonori della cronaca. Ma sotto certi aspetti questa che viene chiamata sindrome non è nuova. Anzi si mostra, sotto certi aspetti, meno grave rispetto alle consuete sindromi di ritiro sociale che si osservavano nei decenni precedenti all’era della rete.
Quindi sfatiamo il primo mito: Non è internet a causare l’Hikikomori. Può essere a volte un aspetto che alimenta ma, addirittura, potrebbe ridurre la tendenza all’autoreclusione. Vediamo come.
Il Ritiro sociale: cosa significa
Quando si parla di ritiro sociale ci si riferisce alla diffusa tendenza da parte di una persona a evitare situazioni pubbliche. Più in generale in età adolescenziale questo fenomeno è più diffuso di quello che sembra e, spesso, tende ad andare in remissione, ossia a “svaporare” spontaneamente. Alcune volte, invece, può aumentare fino a divenire una vera e propria autoreclusione. Un ragazzo può improvvisamente recidere le relazioni sociali, smettere di andare a scuola, chiudersi nella propria camera e mantenere un contatto col mondo esclusivamente attraverso la rete e i social network. Ma l’autoreclusione va declinata con le caratteristiche del “recluso”. Infatti incidono sul fenomeno e sulla sua gravità aspetti ambientali, psicologici, e medici. A volte ci si trova di fronte semplicemente a un problema di ansia e attacchi di panico.
(Clicca qui se vuoi leggere: Ansia e Attacchi di panico? ti spiego come averne il più possibile!)
Hikikomori: aspetti psicologici e classificazione DSM
Vorrei poi fornirvi gli strumenti per una valutazione più completa. Per questo è importante sapere che gli aspetti psicologici possono essere legati a disturbi di personalità sottostanti più complessi. Ma per ogni disturbo il ritiro sociale dovrebbe essere affrontato con strategie diverse.
Hikikomori una sindrome per tanti “Disturbi”
Dunque è bene sapere che I Disturbi di personalità si dividono in tre cluster o gruppi che ne definiscono le specifiche. Nel cluster A ci sono i disturbi che vedono una distorsione del piano di realtà con conseguenti condotte cosiddette “Bizzarre”; nel cluster B rientrano quei disturbi che poggiano su sofferenze più di tipo emotivo e mostrano condotte drammatiche; Nel cluster C troviamo, invece i disturbi con comportamento ansioso o inibito, ossia ansia e suoi derivati per capirci. Chiaramente potremmo avere diverse condizioni e approcci a una sindrome da Hikikomori a seconda del cluster. L’Hikikomori si osserva in particolare nel cluster C o nel B meno nel cluster A.
Ma Chi ha definito questi disturbi?
Il DSM è il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. DA questo manuale vengono le definizioni dei disturbi di cui sopra. Ma per quanto sia puntuale nella descrizione dell’animo umano, non riesce a descriverne tutte le declinazioni. Per questo, dopo la diagnosi, la psicoterapia va a esplorare le specifiche strategie dei pazienti per vivere e i loro stili relazionali. Esplorare la classificazione DSM potrebbe avere l’utilità di orientarci su chi è quel fanciullo segregato nella sua stanza.
I cluster del DSM: Facciamo qualche esempio
- Cluster C. Il “Disturbo evitante di personalità” che si caratterizza per una diffusa fatica a intrattenere relazioni a causa dell’idea che gli “Altri” abbiano una cattiva opinione di noi, oppure siano disinteressati. Una persona con un disturbo evitante ha un dispercezione nell’autostima. Ma non nel senso che si stima poco, ma nel senso che non è in grado di stimare le sue competenze e i suoi talenti. Per questi motivi si tende a rimanere ai margini e non assumere ruoli in cui si è più al centro dell’attenzione e si hanno più responsabilità. L’umore è disforico e oscilla tra ansia e depressione.
- Cluster C. Il “Disturbo evitante di personalità” che si caratterizza per una bassa capacità decisionale e un bisogno di accudimento che gradualmente spinge a un ritiro sociale. In questo caso la rete diventa sia madre accudente che finestra verso il mondo. In questo senso andrebbe da una parte mitigata e dall’altra sostenuto.
- Cluster C. Il “Disturbo d’ansia Generalizzato con, o senza attacchi di panico”. In questo caso certamente il temperamento ansioso e la componente psicosomatica costituiscono i fattori determinanti alla fuga sociale. Ma in questo caso esiste una volontà di stare nel mondo delle proprie relazioni che resta intatta.
- Cluster C. “Disturbo ossessivo compulsivo”. Anche in questo caso il bisogno di relazione resta intatto e dunque si dovrebbe intervenire su dimensioni altre. In particolare la rete consente di sviluppare rapidamente i cosiddetti “rituali” necessari per propiziare l’esistere.
- Cluster B Il “Disturbo Narcisistico di personalità” che, all’opposto, vede una tendenza a sovrastimare le proprie qualità e avere una ridotta sensibilità e empatia. In questo caso il ritiro sociale el’Hikikomori vengono vissuti in modo più funzionale senza avvertire l’esigenza di “Guarire”.
- Cluster B Il “Disturbo Borderline di personalità”. Qui la paura di abbandono e il ritmico passaggio da una percezione di realtà idealmente perfetta e, all’opposto molto svalutata, ci suggerisce che la rete tende a favorire proprio questa oscillazione consentendo di assecondare le dispercezioni. L’intervento dovrebbe prevedere un parallelo contatto con il piano di realtà.
Niente paura!
Ognuno di voi, come ogni studente di psicologia, tende a riconoscersi in molte descrizioni. O, peggio, tende a riconoscere il proprio figlio. Questi descrizioni diventano disturbi se si presentano in modo iperbolico. Ogni disturbo è sempre nella giusta dose e nella giusta misura un talento, una cura, una risorsa. Un esempio per tutti: senza un po’ di narcisismo nessuno potrebbe investire su se stesso
Però leggendo i cosiddetti “Disturbi” ci rendiamo immediatamente conto che non possiamo pensare che l’Hikikomori abbia una unica medicina o terapia. Cosi come una febbre può avere motivazioni diverse.
Sfatiamo il secondo mito sull’Hikikomori. E’ decisamente improbabile che si presenti come un disturbo a se stante. Si tratta di un sintomo, come la febbre e, come la febbre, può avere una utilità diversa ogni volta. Ma attenzione! Una psicoterapia classica ricerca le cause per eliminare il sintomo, mentre una psicoterapia psicodinamica moderna ricerca nel sintomo l’indicazione della cura, ricerca l’utilità del sintomo. In questo senso l’Hikikomori è il segno di una gestazione che inizia.
Tutti gli adolescenti sono potenziali Hikikomori
Arriviamo quindi al nocciolo della questione. Da quanto scritto mi sembra evidente che, in misure diverse, ogni adolescente può presentare tratti di personalità come quelli sopra citati. Dunque bisogna evitare, sempre in adolescenza, di andare nel panico come genitori. L’adolescenza è infatti una “sana Psicosi” transitoria nella maggior parte dei casi, che serve a avviare quello che Jung ha chiamato il processo di individuazione.
Mi riferisco al processo psichico in cui ognuno scopre e, in parte sceglie, la sua personalità, sia da un punto di vista sessuale che gerarchico, che di talenti. Il rischio è quello di intravedere una malattia dove c’è semplicemente uno stato transitorio indispensabile. Sarebbe come ricoverare un ragazzo in età puberale perché si riempie di brufoli. Una buona valutazione di quale sia il cluster di personalità di riferimento aiuta comunque a evitare di introdurre ove si debba “levare” e viceversa.
Quando l’idea di se non coincide con il se. Hikikomori come gestazione
Il processo individuativo prevede l’incontro e lo scontro tra l’idea che abbiamo di noi e chi siamo realmente. Potremmo quindi trovarci a pensarci senza paura e scoprirci molto paurosi. Questo avviene su tutte le dimensioni di personalità, sia sottostimando, sia sovrastimando le nostre caratteristiche e i nostri talenti. Chiaramente l’Hikikomori è il tentativo di rifugiarsi in un ambiente protetto e rassicurante in cui fare questo esercizio di ricerca di se.
L’autoreclusione ha uno scopo salutare! Salviamo l’Hikikomori
Insomma il sintomo non va eliminato cercandone le cause, piuttosto va esplorato scoprendone le finalità. L’autoreclusione è l’invito che un adolescente fa a se stesso di rinunciare all’immagine ideale e pubblica di se. Il tutto per scoprire la sua vera identità. Ciò che viene recluso è la maschera e la rete è il terreno in cui provare a presentare al mondo una identità che si dubita possa essere accettata. Dunque si tratta di una presa di distanza salutare. L’eccesso di distanza va contenuto ma non la presa di distanza in se. Sarebbe come congelare un corpo per abbassare la febbre.
L’ambiente che favorisce l’Hikikomori e il ritiro sociale
Vi deluderò anche in questo. Infatti non possiamo definire una volta per tutte quale tipo di ambiente faciliti l’autoreclusione. In taluni casi la vita metropolitana potrebbe sembrare troppo difficile da affrontare oppure, all’opposto molto stimolante. Dunque quello che sembra stimolare le relazioni in un soggetto in autoreclusione, potrebbe inibirle in un altro. Certamente potremmo dire che un genitore che tende al ritiro sociale o che non ha un felice rapporto con l’ambiente relazionale che lo circonda, non potrà fornire un modello o un metodo utile. Ma questo non sarebbe sufficiente a descrivere la complessa dinamica dell’adolescente che contratta la sua identità col mondo. In questo senso l’unico modo di mettere a fuoco quale sia l’ambiente migliore è quello di imparare a conoscere meglio che si può la persona che si è autoreclusa.
Hikikomori e dipendenza da internet. Prigionieri dei social
Non dobbiamo inoltre confondere l’Hikikomori come una dipendenza da internet o da videogame. La letteratura sulla dipendenza è ampia e solo in certi casi l’Hikikomori è espressione di una dipendenza. E’ sempre bene quindi distinguere le due condizioni. Potremmo essere tacciati di essere dipendenti dalle nostre automobili da una persona del 1800. Quindi rischiamo di vedere dipendenza in luogo di convivenza.
Clicca qui se vuoi leggere: Tossicodipendenza. Prospettive e trattamento. La Comunità di recupero
Una ricerca sulla dipendenza da videogame e Hikikomori
Ho personalmente condotto nel 2005 una ricerca sugli stili di personalità di soggetti che tendevano a fare un largo uso della rete e dei videogiochi. Ciò che è emerso è che la sofferenza psicologica aumentava così come il ritiro sociale in chi faceva un uso diffuso dei videogame, ma solo per fasce di età avanzate. Nelle nuove generazioni, invece, l’uso dei videogiochi mitigava la sofferenza e favoriva la rete sociale. In sintesi ogni nuovo strumento comunicativo produce benessere psicologico ma non nelle generazioni da cui non viene generato. Per questo l’uso della rete sembra essere nefasto agli occhi dei genitori, cosi come ai tempi del dagherrotipo, si aveva paura che la fotografia rubasse l’anima.
Hikikomori Cosa fare e cosa non fare
Potremmo elencare alcune cose utili da mettere in atto e alcune che è meglio evitare. Prima di tutto è sempre buona cosa non invitare chi si trova in uno stato di sofferenza a non soffrire. Dire qualcosa del tipo “Stai su” a una persona depressa, oppure “Stai tranquillo” a una persona ansiosa non aiuta e in genere aggrava il sentimento di insofferenza e di inadeguatezza. Inoltre queste richieste sono spesso espressione dell’incapacità di ascoltare quella sofferenza. Cercare di entrare in risonanza e comprendere quella dimensione di sofferenza è, invece, almeno inizialmente, la cosa migliore. Essere disposti a stare nella sofferenza è importante. Quanto leggerete non è un elenco di comandamenti. Ogni caso, ogni individuo è unico e con quella unicità si deve fare la fatica e il piacere di incontrarsi.
DA NON FARE
- Non stigmatizzare il comportamento come
insensato - Non proibire l’uso di strumenti informatici ma
cercare di regolamentarne l’uso - Non assumere comportamenti coercitivi, tantomeno
obbligare a una terapia - Perdere un anno di scuola è brutto ma sostenibile.
Non pressare e dunque ridurre le attese performative rispetto alle situazioni
sociali (Scuola, attività sportive ecc.) - Non diventare iperprotettivi e accudenti. Così
come si può fare la “Pipì” al posto del proprio figlio, è bene evitare di
svolgere qualsiasi azione possa essere svolta dal figlio stesso.
Responsabilizzare. - Evitare giudizi perentori
DA FARE
- Riconoscere la fondatezza della sofferenza e il
senso della strategia - I genitori potrebbero andare in terapia. Questo
porterebbe un beneficio, un sostegno e, come effetto collaterale, potrebbe
incuriosire il figlio o la figlia. Indicata è una terapia famigliare (Clicca
qui se vuoi leggere: LA terapia famigliare sistemica) - Sempre cercare un confronto ma non in modo
pressante. LA trasparenza è importantissima. - Cercare di rompere le routine
- Cercare di vedere l’aspetto complessivo del
fenomeno, sia a livello individuale che familiare che sociale
Hikikomori: Terapia on line o domiciliare
Nel caso dell’autoreclusione alcuni psicoterapueti procedono alla terapia domiciliare mentre altri con la terapia on line. In entrambi i casi questo potrebbe essere utile inizialmente ma dovrebbe rappresentare l’inizio di una psicoterapia che si svolge presso uno studio di psicoterapia per evitare che la terapia stessa diventi parte della reclusione. La psicoterapia on line è per certi versi più indicata perché poggia su un registro relazionale, quello della rete, che potrebbe costituire la chiave di volta per uscire dalla autoreclusione.
(Clicca qui se vuoi leggere:Lo Psicologo e la psicoterapia on-line. Funziona? Quali opinioni?)
Hikikomori: Terapia individuale o familiare
La psicoterapia familiare, unitamente a una terapia individuale, è molto consigliata. L’Hikikomori è spesso una difficoltà comunicativa a carico di tutto il sistema famiglia e anche il semplice intervento sugli stili comunicativi riduce il rischio di un aggravamento, ponendo le base per una evoluzione.
(Clicca qui se vuoi leggere:Terapia familiare. Sistemica?)
La vera cura dell’Hikikomori e dell’autoreclusione si trova in Rete
Un tempo c’erano i manicomi e un tempo la tendenza all’autoreclusione in casa era il prodromo di una reclusione socialmente voluta. Facilmente i vari disturbi potevano condurre a situazioni di cronicizzazione di tipo psichiatrico. Un tempo non sapevamo stare con la sofferenza né noi né i pazienti. Quindi se oggi diciamo “Disturbo”, un tempo si diceva pazzia e si promuoveva la reclusione manicomiale. Oggi, oltre ad aver cambiato l’approccio alla sofferenza psicologica, la tecnologia ha permesso di ridurre il ritiro sociale mantenendo un minimo di contatto con il mondo esterno e evitando un ripiegamento psicotico su se stessi. Oggi c’è la rete e ci sono i social. Oggi ci sono videogame e la maggior parte si giocano on line in connessione con persone da tutto il mondo, oggi si lavora on line, si acquista on line.
Insomma oggi si è iperconnessi. E le nuove generazioni stanno trovando il modo di integrare queste tecnologie alla psiche. Mentre i “vecchi”, nostalgicamente, parlano di iperconnessione nichilistica. Quel veleno che produce la sofferenza e l’autoreclusione, a un occhio più attento, potrebbe essere esso stesso il farmaco. L’iperconnessione spesso evita il ripiegamento psicotico ma i genitori, ingenuamente, se la prendono proprio con l’iperconnessione. Già l’alchimia aveva notato che il male e la cura sono la medesima cosa. Anzi spesso la cura rischia di essere essa stessa il male. Dunque la cura è la rete stessa sia quella virtuale sia quella tra i familiari e i servizi. E’ paradossale ma sembra che un Hikikomori possa trovare sollievo e evoluzione proprio dentro quel contenitore che viene accusato di averlo recluso. La “rete” intrappola ma, al tempo stesso non ci lascia cadere a terra.
Conclusioni: Agire in rete
La terapia on line; i gruppi di interesse sui social; le videoconferenze o videoparty su facebook; il gaming on line; le foto su istagram; le chat; le second life. In una certa misura sono gli strumenti per riprendere contatto con chi si è autorecluso. E’ dalle relazioni virtuali che spesso la motivazione trova nuovo nutrimento. Ecco che può capitare che un gruppo di interesse per la musica decide di incontrarsi e che l’autorecluso non resiste e va di la dai genitori e dice: Mamma io stasera esco a cena fuori. Una psicoterapia individuale accompagnata a una terapia familiare risultano piuttosto utili a favorire li ritorno a un ritiro sociale nella giusta misura. Allora invece di chiedere ai figli di uscire dalla loro stanza, ci dobbiamo prendere la briga di entrare nella loro “rete”.