Studenti di psicologia e psicoterapia: Il senso di un’analisi personale
Da Studenti di psicologia, la psicoterapia e il senso di un’analisi personale non sempre è evidente. Quando dovevo scegliere la facoltà universitaria, era il 1995, ero indeciso tra Ingegneria e Psicologia. Mentre l’Ingegneria soddisfaceva un immaginario tutto famigliare secondo cui gli uomini erano ingegneri, la Psicologia era una sfida personale ai preconcetti di una tradizione religiosa famigliare che aveva già compiuto il suo atto di fede nella religione cristiana.
E qui è il primo punto in cui scorgiamo il senso di un analisi personale. Entrare in terapia è sostanzialmente un atto di fede, un affidarsi. Il solo compierlo produce uno spazio psichico interno in cui far scorrazzare i propri immaginari, i propri bisogni, emozioni e motivi. Questo asilo per le immagini sarà il luogo generato dall’atto di fede, il luogo in cui le immagini potranno incontrarsi. L’incontro delle immagini è l’incontro di bisogni, motivazioni e azioni, un incontro da cui si genererà un villaggio (in cui vive tutto il “piccolo popolo” direbbe Jung).
Ma torniamo agli Studenti di psicologia. Il senso di un’analisi personale? Scelsi psicologia e solo dopo aver studiato due anni mi accorsi dell’errore. Non avevo voglia di ascoltare gli “altri”. Non mi importa della figlia depressa dell’avvocato, mi dicevo. Per questo scelsi la psicologia del lavoro come ambito di specializzazione. Poi la vita mi ha chiarito che ciò che deve accadere accadrà, secondo necessità. Finita l’università e il dottorato, mi ritrovai in una comunità per tossicodipendenti e la psicologia clinica mi è di nuovo venuta a trovare. Lavorando entrai in risonanza con i pazienti e decisi di andare in analisi. ecco di seguito una breve cronaca di quel primo incontro a Monte Verde a Roma.
Questa volta faccio tutto in anticipo, non sia mai che arrivi in ritardo. Poi che penserà? Che non mi interessa! E poi meglio evitare equivoci sennò va a finire che mi dice che lo sapeva, che io sono così e che ho fatto le scelte sbagliate, che se non imparo l’arte della leggerezza non vado da nessuna parte, che penso troppo e parlo troppo. Penserà che sono pazzo ma non me lo dirà per pudore. Chissà se mi troverà la cosa più noiosa che gli sia mai capitata.
Insomma nel giro di meno di un’ora gli racconto tutta la mia vita, ansie, paure, rabbie, delusioni con timide escursioni sul mio passato sessuale, poi riprendo fiato e osservo il suo sguardo su di me e già penso che ha già deciso e quindi glielo chiedo … si … del resto con quello che costa… -“Dottore pensa che io sia pazzo?”-
Lui inspira, prende il fiato necessario per rispondere senza pause, per dire quello che non ha detto ascoltando il mio frenetico riassunto, mi osserva e “vede io ho un problema, lei mi ha messo in una via senza uscite…” dice. Io sgrano gli occhi socchiudendoli nel terrore di ritrovarmi tra i sani o tra i condannati all’inferno e, superata quella eterna piccola pausa, lo sento proseguire –“… se le dico che è pazzo la rifiuto mentre se le dico che non è pazzo la nego … forse lei in realtà mi sta solo chiedendo se sono pronto a vivere con lei le sue angosce, accogliendola in questo suo momento … e a questa domanda posso dare una risposta.-
Piansi asciutte lacrime di orgoglio facendole ricadere all’interno del mio viso, lo salutai cordialmente e con voce rotta … -“Ci vediamo la prossima settimana dottore”- dissi… e lui sorrise.
A quel punto ci fù l’evento epifanico, l’apparizione, l’insight (lo chiamerebbero gli scientisti). Mi accorsi di quale fosse il motivo che mi avesse spinto a scegliere psicologia… volevo anche io essere un “paziente”.
Ritengo sia questo il motivo per cui si scelga questa facoltà. Per avere una scusa per fare psicoterapia, per generare quel luogo, quell’asilo in cui far crescere le proprie immagini interiori e poi, una volta cresciute, come avviene con i figli, accorgersi che non sono nostre ma del mondo.
MA fare terapia porta con se il seme della follia, l’accusa, o meglio l’autoaccusa della anormalità. Iscrivendosi a psicologia si elude questo immaginario.
La Psicoterapia permette dunque prima di tutto di crescere nell’asilo i propri immaginari evitando di con-fonderli con quelli dei pazienti. La con-fusione è figlia della dea Empatia declamata dalla nostra categoria. Ma c’è un secondo motivo per cui gli Studenti di psicologia dovrebbero affrontare l’avventura di un’analisi, ossia l’accostarsi all’indicibile.
Ogni psicologo deve saper cogliere quelle Ombre, quelle fantasie putride che ha dentro di se e che appartengono al mondo. Solo dopo averle accolte nell’asilo potrà dirsi pronto a osservare quelle dei pazienti.
Rieti è povera di psicoterapeuti che possono offrire unì’analisi didattica e in tal senso gli studenti reatini di psicologia spesso si rivolgono altrove. Oggi però, insieme al sottoscritto, ci sono molti terapeuti a orientamento archetipico anche sul nostro territorio che possono offrire un lavoro di qualità. L’invito è al coraggio di conoscersi prima di arrogarsi la capacità di conoscere gli “altri”. Anche perchè gli “altri” sono prima di tutto parti del terapeuta.