Ludopatia e gioco d’azzardo

Ludopatia: Matrimonio tra ludus e pathos

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Le bibbie diagnostiche che si sono imposte oggi a sostituire poemi e mitologie del passato, mettono in evidenza come ciò che viene ritenuto essere nella norma e ciò che viene invece posto ai margini della curva “Normale”, subisca continue variazioni. Scontato l’esempio della omosessualità patologia espunta dal DSM da tempo. Ma a noi interessa far notare che anche la mitologia subiva il medesimo trattamento. L’esempio più celebre è Pan di cui Hillman ci ricorda i multipli natali sottolineando che per Erodoto è figlio di Ermes mentre per Pindaro, così come lo cita Virgilio, Pan è figlio di Apollo[1].  Non possiamo non notare che Pan, ossia la personificazione del desiderio istintuale e incontrollato (da cui panico ossia la Colpa legata al desiderio, anche incestuoso), è stato assimilato al diavolo anche se a noi sembra semplicemente un protettore di Anankè. Pan appare quando l’istinto suggerisce ciò che deve essere agito secondo necessità. Non a caso ha a che fare col mondo dei boschi e con gli animali. Quando leggiamo negli inni omerici che faceva strage di fiere, dobbiamo intenderlo nella direzione di incorporarne l’essenza  e non nella direzione della loro eliminazione[2]. Pan è la manifestazione dell’essenza animale ossia di quella primordiale spinta ad essere fedele a ciò che si è. Risulta evidente che la funzione di questo Dio cambia radicalmente di senso se visto come figlio di ciò che è apollineo ovvero di ciò che è ermetico. Una popolazione che concepisce Pan figlio di Apollo riterrà che l’esplosione incontrollata del desiderio sia figlia di Apollo ossia del raziocinio, della conoscenza organizzata. Pan, in tal senso è il tentativo esplosivo di essere fedeli ai propri istinti divincolandosi dall’apollineo. Dall’altra parte laddove il medesimo desiderio (Pan) è figlio di Ermes ossia dell’astuta capacità di far comunicare parti psichiche altrimenti distanti, di riprendersi come un ladro ciò che gli appartiene e, infine della capacità di addormentare, allora lì avremo un Pan sostanzialmente diverso. Il Pan figlio di Apollo sarà un desiderio come reazione al raziocinio, nel secondo il Pan sarà il desiderio come esito della buona e astuta comunicazione e concertazione di tutte le parti psichiche di un individuo, parti rappresentate dagli dei.

Oggi ci sono due nuovi dei che si sono sposati: Gioco e Sofferenza-Emozione. Non posso non far notare che tale matrimonio è decisamente di quelli combinati a tavolino, come accadeva una volta. Il GAP, il loro figlio, (Gioco d’Azzardo Patologico) è questione nota da tempo e da tempo in carico ai servizi sanitari. Eppure oggi sembra fare categoria a se rispetto alle dipendenze. Come se vi fosse un reparto di cardiologia e poi se ne inventa un altro di cardiologia della parte destra del cuore. Questo certamente genera posti di lavoro ma probabilmente va nella direzione di una parcellizzazione forse inutile.

Allora se una società impone un matrimonio dobbiamo capire quale siano gli interessi. Un tempo Casati decaduti davano le loro figlie in spose a industriali avvenenti. Questo consentiva di risollevare le sorti economiche del Casato e di acquisire titoli nobiliari ai rozzi industrialotti. Allora quale guadagno ha una società che fa sposare il gioco con la sofferenza? Come viene concepita un’unione siffatta? Quali sono le cause dell’unione? E quale scopo?

Non possiamo partire se non dal gioco e dal suo significato archetipico e, se consideriamo gli archetipi nella direzione indicata da Jung, ossia come pattern of behaviour, siamo obbligati a fare riferimento al senso che assume il gioco dal punto di vista etologico.  Ma prima di procedere in tale direzione possiamo già avere un’informazione importante dal significato etimologico della parola AZZARDO, che è poi il modo con cui viene etichettato il gioco quando si unisce al pathos. La parola azzardo viene da Al-sahr  che significa dado ossia l’Alea da cui deriva anche la parola aleatorietà. L’Azzardo è promuovere un gioco che si fonda sull’aleatorio, sulla precarietà, sull’assenza di criteri per giocare e su un rischio di cui non si può in alcun modo fare alcun calcolo. La precarietà è l’immaginario del nostro tempo e il gioco, che aveva come scopo primario l’esercizio di ciò che è di là da venire, oggi sembra avere come scopo unico la precarietà, l’esser fine a se stesso. Da precursore della meta a meta.

Andrea Alciato nell’Emblema XLVII ci rammenta la funzione oracolare del gioco d’azzardo e di come il lancio dei dadi, o meglio degli astragali, fosse pratica diffusa per promuovere l’incedere del “cammin di nostra vita”[3]. Ma qui ci troviamo in una fissazione. Il precursore rischia di confondersi con il telos.

Ecco che già compare all’orizzonte come il matrimonio sia proprio il figlio della condizione della società contemporanea. La società promuove matrimoni e etichette diagnostiche che le possano fungere da specchio. La precarietà che la caratterizza richiede  un nome, un’etichetta: GAP, Gioco d’Azzardo Patologico. La precarietà fa capolino mascherata da libertà. L’epoca dei riti di passaggio e della poca possibilità di scelta, lascia il passo all’era in cui possiamo divenire ciò che vogliamo. Tale libertà si paga con la precarietà. In un luogo in cui la precarietà è la legge  il gioco d’azzardo può effettivamente essere la cura, l’autocura.

Ma torniamo all’etologia. Osserviamo un gruppo di cuccioli di leone oppure di cane. Vediamo come il gioco sia proprio il precursore delle attività che si svolgeranno nell’età adulta: la lotta, la caccia ecc. Il gioco è emulazione e apprendimento. Attraverso il gioco si impara e si inizia a immaginare chi si diventerà.

Insomma proviamo a cercare di porre le basi delle nostre considerazioni in merito al dio GAP, il dio dei riti di passaggio. I riti di passaggio sono quelli che si effettuano nel passaggio da una fase di vita a un’altra. Dalla pubertà all’adolescenza e poi dall’adolescenza all’età adulta. In Egitto la circoncisione era il rito di affiliazione al dio Ra; nel cristianesimo la comunione è la pubertà e la cresima l’adolescenza e, infine, il matrimonio è il traghetto verso l’adultità.

Ora immaginiamo il nostro dio GAP, propiziatore di Ra, o meglio propiziatore dell’affiliazione agli dei che verranno. Immaginiamolo in crisi e con la voglia di una promozione nell’Olimpo. Immaginiamo che da precursore diventi l’obiettivo. Come se Caronte si fermasse  in mezzo allo Stige dicendo che non ha nessuna intenzione di procedere oltre, ne di tornare indietro.

Una società che impone questa diagnosi ci suggerisce come ci sia una diffusa refrattarietà all’individuazione, alla propria evoluzione. Il Gambler, così viene chiamato oltreoceano e Madonna ne fece il titolo di una sua celebre canzone negli anni ’80, non vuole procedere al rito di passaggio, o meglio vuole restare nel rito, in un limbo in cui non si è più ciò che si era e non si è ancora ciò che si sarà. Il telos del gambler è la stasi così come avviene nelle dipendenze in genere.

Il gioco è in seconda battuta un mezzo per la conoscenza e la strutturazione delle relazioni. Attraverso il gioco conosciamo l’altro, ne attiviamo la funzione di specchio e conosciamo noi stessi. Il gioco e lo sport sono stati i più grandi mediatori internazionali nei millenni. Ma il dio GAP vuole che venga onorato solo lui e quindi isola il giocatore illudendolo di relazione.

Quando incontriamo  il valore del gioco come rito che si oppone alla morte, terza funzione del gioco come simbolo, abbiamo la sensazione che tale modalità, se inflazionata, conduca dal gioco come accompagnatore nella morte, ossia accompagnatore nei processi di trasformazione, al gioco come oppositore alla trasformazione. Oggi il DSM ha fatto del dio GAP un dio maggiore che va onorato tra  i numi più noti. Noi archetipici di fronte a queste situazioni abbiamo un certo senso di smarrimento, come se salendo sull’Olimpo trovassimo Caronte sullo scranno di Zeus mentre carezza ghignando il suo piccolo animale domestico a tre teste.

Allora sia ben chiaro, io lavoro come direttore di una comunità per tosssicodipendenti da 10 anni, oggi dirigo anche un progetto e uno sportello sul gioco d’azzardo patologico, ma non riesco a capire il GAP come nuova diagnosi così come mi meraviglio che l’Onanismo fosse annoverato un tempo tra le patologie. Invece riesco a comprendere come mai vi siano templi che si moltiplicano nelle città, templi in cui venerare il dio GAP. Quando si entra nel tempio di Afrodite le si chiede fecondità, creatività, generatività ecc. Se entriamo nel tempio di Apollo invochiamo possenza e raziocinio mentre a Hermes rivolgiamo la richiesta di un’astuta mediazione tra situazioni inconciliabili. Ma se entriamo nel tempio di GAP cosa chiediamo? Cosa paghiamo mettendo il denaro sonante nel suo obolo? Cosa l’inebriante scintillio delle sue luci, come incenso, vuole propiziare?

Dio GAP io ti invoco affinchè tu sia propiziatore del rito che mi conduce verso ciò che sarò! Così dovrebbe suonare l’invocazione e invece sembra avere un sapore diverso: o dio GAP io ti invoco affinchè tu faccia che tutto resti come è! E al diavolo Tomasi di Lampedusa che ammoniva saggiamente che per far si che tutto resti com’è bisogna che tutto cambi[4]. Il gioco d’azzardo, quando incontra il pathos è controindividuativo, è richiesta di cristallizzazione, è opposizione al cambiamento.

Quarto: il gioco è ordinatore. E’ strumento attraverso cui cerchiamo di fare ordine tra le immagini del mondo esterno e quello del mondo interno. Il gioco come ordinatore diventa un tramite tra il reale e il fantastico e con il giocare noi diventiamo cittadini della città di Hurqualya[5]. MA se giungiamo a comprendere la funzione, quasi, trascendente del Gioco dobbiamo stare attenti a non fare del dio GAP un demonio. Demonizzare il gioco significa  generare una rottura nell’asse IO-SE’ avrebbe detto Neumann. Il gioco ha una funzione regolatrice e evolutiva tale che farne una patologia rischia di renderci patologici. Dobbiamo usare delle cautele nel relazionarci con i cosiddetti gambler, per non rischiare che nel curare un’unghia incarnita ci spingiamo all’amputazione dell’alluce.

Ma andiamo ancora avanti, il gioco è, quinto, la prova che deve sostenere l’EROE. Ora noi psicologi  siamo noti per aver inaugurato una guerra, ormai più lunga di 100 anni, nei confronti dell’Eroe, ma non possiamo certo per questo battagliare con il dio GAP alla stessa maniera. Il Gioco è la prova  con cui l’Eroe conquista uno spazio di udienza di fronte agli dei. In tal senso il gioco è il mezzo con cui riusciamo ad attivare tutti i nostri immaginari, con cui riusciamo a promuovere l’universalità del suffragio nel nostro “gentle folk”, ossia riusciamo a dare spazio a tutti i nostri bisogni che hanno pari diritti e dignità. Ma l’eroe deve farsi da parte e morire affinchè tutti gli immaginari possano avere spazio. Se ciò non avviene l’Eroe cerca di far si che la prova, il gioco, sia prolungato all’infinito. In tal modo non permette l’attivazione degli immaginari che restano tutti sotto il suo giogo.

La Dea Fortuna da «Imagini delli Dei de gl’Antichi» di V. Cartari (Luni Editrice 2004)

In questa immagine vediamo la dea Fortuna. Costei era invocata soprattutto quando le conoscenze erano ridotte, quando il sapere non era sufficiente per placare le ansie e le angosce dell’ignoto. Così la raccontano “gl’antichi”. In tal senso il gioco sembra poter assolvere anche a questo compito, il placare le angosce di separazione e dell’ignoto. Ogni volte che passiamo da una fase di vita ad un’altra, ogni volta che passiamo da una nazione a un’altra ci troviamo a varcare un confine, un limen. In quel luogo non siamo più nel paese che ci accoglieva e non siamo ancora in quello che ci accoglierà. In quel limen il gioco ha una funzione di contenimento e sperimentazione. Quel confine è il luogo in cui la Kore diviene la Persefone e trattasi di un luogo temporaneo e non di una dimora. Nella “patologia”, o meglio nell’inflazione, si vuole erigere la propria casa sul confine.

Lì trova dimora il  dio GAP, ma solo lui, e lì sembrano chiedere asilo i giocatori patologici. Ciò detto e riassumendo le funzioni del gioco:

  • Il gioco è Emulazione e Apprendimento
  • Il gioco è conoscenza e relazione
  • Il gioco è un rito contro la morte-trasformazione
  • Il gioco è ordinatore
  • Il gioco è una prova eroica
  • Il gioco è ponte tra reale e fantastico
  • Il gioco contiene le angosce legate all’ignoto

Ricordiamo però che qui ci stiamo chiedendo cosa stia avvenendo a livello transpersonale. Perché il DSM, la bibbia della psichiatria mondiale, sta dando così tanto peso a questo nuovo Dio. Perché lo chiama patologico dimenticandone le cruciali funzioni che abbiamo citato? Perché oggi non si riesce a valorizzare l’utilità psicologica del gioco? In questi templi si prega quello stesso dio che il Sistema Sanitario sta ghettizzando e combattendo. Nelle campagne che muovono contro il gioco di azzardo si sta facendo del dio GAP un martire. E i martiri diventano sempre più forti ogni volta che subiscono un attacco. Ci dobbiamo chiedere perché è iniziata questa crociata contro questo dio che onestamente si guadagnava da vivere. A volte il popolo se la prende con i demoni quando non sa come risolvere i propri problemi. Quando non sappiamo come integrare nuovi immaginari, come quando la caccia alle streghe era il tentativo coatto di opporsi a immaginari femminili emergenti, procediamo a esecuzioni sommarie. Ora provate a immaginare se volessimo andare nel mondo degli dei e decidere di ucciderne uno. Già me lo vedo lì, Zeus tonante, a intimarci di lasciare il luogo sacro. Non si uccidono gli dei, non si uccidono gli archetipi, non si uccidono gli immaginari. Alla stessa maniera in cui una specie si estingue a opera dell’uomo, io sento un retrogusto luttuoso quando vedo attaccare qualsiasi immaginario, anche il più impopolare.Il gioco d’azzardo resta un immaginario da salvare, specie il gioco, in tutte le sue funzioni simboliche. Forse ci dobbiamo chiedere, come avviene in psicoterapia, quale dio non riceve più preghiere. Quali sono gli dei che pagano l’inflazione del dio GAP con il vuoto nei loro templi. La battaglia non è contro un dio che è asservito a uno Stato che lo invoca per risolvere i suoi problemi energetici. La battaglia è il tentativo di riportare i fedeli nei templi di Zeus, Era, Atena, Apollo, Hermes, Artemide e tutti gli altri. Dobbiamo aiutare e aiutarci a differenziare. Se abbiamo bisogno di una decisione di polso dobbiamo sollecitare Zeus ossia la nostra capacità di proteggere, decidere e posizionarci; se dobbiamo risolvere un problema complesso ci rivolgiamo a Hermes Apollo e Atena, ossia all’astuzia, al raziocinio e alla sapienza. Ma se tutte le volte ci rechiamo nel tempio di GAP… a se è così!?… allora stiamo giocando!

 La caccia al dio GAP è la letteralizzazione dell’atto immaginale che si impone nel momento in cui si diventa adulti, ossia l’atto dello “smetterla di giocare”. Ma quando si letteralizza, come quando si uccidono donne presunte streghe per paura del femminile, si combatte la materia ma si è distanti dalle immagini.

Oggi abbiamo conquistato la nostra libertà. E’ fuggito il tempo in cui, secondo ritmi scanditi dalle stagioni e dai riti collettivi di passaggio, procedevamo verso un destino prestabilito. Oggi possiamo generare noi stessi, individuarci e divenire ciò che vogliamo. Oggi siamo liberi. Ma questa libertà ha un prezzo: la precarietà. Ciò che è inflazionato non è il gioco ma il limen. Quel confine che separa due territori estranei tra di loro, è divenuto molto più grande. Una dogana di km e km quadrati. Un duty free sconfinato. E si resta sul confine nell’attesa che giunga il tempo di scegliere chi si vuole essere. Ma questo tempo sembra prolungarsi all’infinito e nell’attesa che l’infinito passi ci siamo dotati di sale di attesa ad hoc: le sale slot.

Non possiamo non rilevare la notevole importanza della dimensione simbolica del gioco. Non possiamo poi dimenticare che, come onanismo e omosessualità, ci sono sempre state, anche il gioco d’azzardo è sempre esistito. Allora l’inflazione dell’uno o dell’altro immaginario ci suggerisce la strada terapeutica da percorrere. L’onanismo rischia di essere uroborico, l’omosessualità rischia di opporsi alla conoscenza dell’altro da se e il gioco si oppone alla propria evoluzione. In terapia non lavoreremo sui sintomi cercando dio sopirli, in terapia cercheremo di promuovere gli immaginari enantiodromici e quindi l’equilibrio. Nel Gioco d’azzardo dovremmo incoraggiare il passaggio e la progettualità. Cercheremo di procedere al bilancio delle competenze del paziente, affinché ne riesca a prendere coscienza e a metterle in campo. Restituiremo al dio GAP la sua dimora e la sua funzione di nume di passaggio.

[1] Hillman, J., 1972: Saggio su Pan, Adelphi, Milano, 1977, pp. 50-5.1

[2] Cassola, F., (a cura di), 1975: Inni Omerici; Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori; pp. 361-372 (14).

[3] Alciato A. 1531: Il libro degli Emblemi. Adelphi Milano, 2009, pp. 268-273.

[4] Cfr. Tomasi di Lampedusa, G., 1958: Il Gattopardo. Feltrinelli, Roma, 2009.

[5] Cfr. Corbin, H., 1979: Corpo spirituale e terra celeste, Adelphi, Milano, 1986.

Dott. Luca Urbano Blasetti

Psicologo Psicoterapeuta

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