Terapia familiare. Sistemica?

Terapia familiare sistemica

Vi sono casi in cui il malessere di uno dei membri della famiglia può trovare le sua origine in tutta la famiglia. Considerando  la famiglia  come un “sistema”, si propone un intervento che, agendo sul sistema, si prende cura del singolo. Una buona metafora potrebbe essere quella calcistica. Se una squadra vince ovvero se perde, ciò può essere imputato alla poca forma del singolo giocatore. Oppure si può ragionare sul fatto che il singolo non riesce a svolgere il suo ruolo perché la squadra è male organizzata, oppure fatica a comunicare o, ancora, si poggia su emozioni fondate sull’invidia ma che vengono mascherate.

Insomma Una squadra malata può vincere una partita ma, certamente, non riuscirebbe a vincere lo scudetto .

Spesso concorrono sia fattori individuali che familiari nel malessere del singolo. Questo significa che sicuramente il singolo membro della famiglia, o della squadra se preferite, può presentare uno stato di sofferenza e sarà lui a ricevere le cure, ma, parallelamente, si può, e a volte si deve, valutare anche il modo in cui ogni altro membro della famiglia si rapporta a quella sofferenza. In alcuni casi la famiglia potrebbe inconsapevolmente negare quel disagio, non riconoscerlo, non legittimarla. Questo per evitare processi di cambiamento che sarebbero faticosi. In questo modo ne acuisce l’impatto sommando alla sofferenza del singolo il mancato riconoscimento collettivo. Ad esempio, in adolescenza, un ragazzo con un disturbo dell’apprendimento, oppure con un disturbo dell’attenzione o da iperattività (così vengono chiamati dalla Psicologia, ma sarebbe meglio non definirli “disturbi” quanto strategie per far fronte agli impegni della propria fase di vita), potrebbe trovare poca comprensione dentro la famiglia. La mamma, ad esempio, potrebbe essere più preoccupata di essere riuscita a aiutare il figlio, vivendo la mancata riuscita come un umiliazione. Intanto il Padre potrebbe vivere un senso di vergogna sociale e i fratelli o sorelle l’invidia per l’attenzione dedicata al fratello. Insomma ognuno potrebbe tendere a proteggersi e questo produce un acuirsi delle difficoltà del singolo.

Come può aiutare la terapia familiare? Prima di tutto fornisce un setting, uno spazio in cui fare l’esercizio di una comunicazione efficace. Da, quindi, la possibilità di esprimere ognuno la sua sofferenza personale e, allo stesso tempo permette al “paziente designato” di essere compreso nella sua sofferenza. Le teorie Sistemiche parlano di “paziente designato” riferendosi al fatto che, non di rado, il paziente costituisce il sintomo di un malessere della famiglia. Riprendendo l’esempio precedente, potremmo infatti ipotizzare che un disturbo dell’apprendimento si possa manifestare anche come esito o come reazione a un problema di coppia, oppure come risultante di una cultura familiare anaffettiva. A quel punto agire sul paziente sarebbe come somministrare una tachipirina, mentre agire sulla famiglia potrebbe risultare come l’Antibiotico.

Oltre a facilitare la comunicazione la terapia familiare permette di mettere a fuoco ruoli, competenze e responsabilità. Spesso una figlia rischia di fare da vice-mamma, o un fratello fa un po’ il fidanzatino. Insomma i ruoli si mischiano cercando di evitare le sofferenze. Invece la terapia promuove la definizione dei ruoli e le procedure per cambiarli. Non punta a eliminare il conflitto, ma promuove la convivenza con aspetti conflittuali.

Durante l’adolescenza si affacciano i primi bisogni di svincolo dei figli e questo mette in evidenza anche le strutture più fragili della coppia genitoriale. L’azione della terapia dovrebbe dunque muovere su questi fronti aiutando la separazione fantasticata, prima, e concreta, poi.

In generale è consigliabile affiancare una terapia  o psicoterapia individuale a una  terapia familiare.

Dott. Luca Urbano Blasetti

Psicologo Psicoterapeuta

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